Il 68% dei veneti vuole tutelare la lingua veneta, ma la politica e l’università no?

Facciamo il punto e due necessari commenti. Ottimi i risultati del sondaggio pubblicato de Il Gazzettino che rivela come il 68% degli intervistati del Veneto (in crescita rispetto sia al 2021 che al 2019) ritiene che la lingua veneta debba essere tutelata “come il ladino, il friulano e il sardo”. Ottimo perché, come evidenziato nel commento giornalistico, i dati si riferiscono ad un campione rappresentativo che vede esprimersi per il sì la maggioranza assoluta di tutte le singole fasce d’età ed altresì di tutte le fasce d’istruzione, nonché delle categorie professionali ed addirittura delle appartenenze politiche ai maggiori partiti nazionali, in cui la forbice dei favorevoli alla tutela della lingua veneta varia del 49% all’84%.

 

Per i Veneti – di nascita, di lingua o d’elezione che siano – la lingua veneta va dunque tutelata: i cittadini veneti sono pronti. A ben vedere, non solo è una tendenza positiva che va maturando numericamente, ma è una tendenza matura, perfettamente in linea con quanto da decenni predicano gli organismi sovranazionali e le Carte internazionali a tutela dei patrimoni culturali e linguistici, quali l’UNESCO e l’Unione Europea, come anche il Consiglio d’Europa. Tutti d’accordo insomma: le lingue in pericolo vanno valorizzate.

 

E invece no. Chi si oppone? Notoriamente vari politici, una parte del mondo dello spettacolo (comici, attori, registi) e alcuni docenti universitari. Non ci curiamo dei primi e dei secondi, atteso che i primi muovono da considerazioni di opportunità partitica (non che i secondi e i terzi ne siano esenti), mentre i secondi ci pare aderiscano con le loro uscite al mondo del sensazionalismo spettacolarizzante e generalista. Ci curiamo dei terzi: quei docenti universitari che si proclamano contrari alla tutela della lingua veneta. Quindi contrari alla tutela richiesta dall’assoluta e solidissima maggioranza dei Veneti e contrari anche alla tutela richiesta dall’UNESCO.

 

 

L’UNESCO da anni include la lingua veneta (codice di riconoscimento internazionale: vec) tra le lingue e la considera in pericolo, caldeggiando iniziative di insegnamento, di formazione dei docenti, di sensibilizzazione delle famiglie. È a questo che dei docenti universitari dicono di no. È alle supplichevoli richieste di agire prima che sia troppo tardi che i docenti universitari come Gianna Marcato (si veda l’articolo allegato) dicono di no. Oltre che dire di no al 70% dei Veneti, salvo dare proprio ai Veneti la colpa. 

 

Decisamente singolare. 

 

Verissimo che una parte della colpa per il rischio di morte della lingua veneta ricade sui parlanti stessi, ma altrettanto vero che un linguista è un dottore della lingua: quando il 70% di una comunità afferma di voler salvare la propria lingua, solo un pessimo medico si limiterebbe a dire “dovevate farlo prima”, come se non si potesse più fare nulla.

 

 

Eppure la soluzione c’è ed è proposta proprio dal Gazzettino: tutelare il veneto “come il ladino, il friulano e il sardo”. Ohibò: che la prof.ssa Gianna Marcato non sappia che il ladino è insegnato a scuola? Che non sappia che in Friuli oltre metà delle famiglie iscrive i figli a scuola richiedendo che studino anche friulano? Sarebbe stranissimo, visto che ella partecipa regolarmente e da decenni a convegni e conferenze su come dal 1999 la lingua ladina viene tutelata.

E invece no. La prof.ssa Marcato ci dice sostanzialmente che per salvare il veneto, non essendo esattamente uniforme ovunque, non si può fare niente: questo comporta, seconda la docente, che non esista alcuna lingua veneta e quindi l’unica soluzione possibile sarebbe predicare qualche frasetta sul giornale e dire che è bello – anzi, sarebbe bello – parlarlo. Per salvare il ladino, che ha 5 varietà interne nonostante sia parlato da meno di 32.000 persone (!), ella stessa parla di “lingua ladina” e ben conosce le iniziative di tutela finanziate con centinaia di migliaia di euro, compreso l’insegnamento del ladino a scuola, che avviene localmente in base alla varietà del posto, addirittura con libri diversi da valle a valle. In buona sostanza, le motivazioni della prof.ssa Marcato sono assolutamente antiscientifiche e non linguistiche, bensì politiche, del genere discriminatorio, perché a parità di condizioni (anche il ladino varia anzi ben di più!), il ladino lo ritiene tutelabile ed insegnabile, mentre il veneto no

 

 

Fondi dunque un suo partito “No Vec” ed esprima in termini politici espliciti la sua posizione retrograda e discriminatoria.

 

 

Se i docenti universitari competenti in linguistica applicano criteri non scientifici ma politici come in questo caso, stanno abdicando al loro ruolo scientifico: va benissimo, è una loro scelta, ma la smettano di mascherare le proprie preferenze personali dietro una finzione di scientificità.

 

 

Il veneto va tutelato come il ladino, il friulano e il sardo. Se si possono tutelare quelli – e così è – allo stesso modo si tuteli, e si tutelerà, la lingua veneta.

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